I Farmaci anticoagulanti orali rappresentano, di sicuro, un gruppo di farmaci riconosciuti dai Medici come tra i più importanti ed utili non solo a scopo terapeutico ma anche e soprattutto a scopo preventivo rappresentando, però, in contemporanea anche un gruppo di farmaci che creano spesso problematiche (ed ansie) gestionali, soprattutto se i Pazienti da trattare sono quelli Anziani.

Mentre fino a qualche anno fa era il warfarin a spopolare, dato che l’acenocumarolo era ed è ancora poco usato, attualmente ad affiancare la TAO sono un gruppo di nuovi farmaci denominati NAO, i cui punti di forza sono la riduzione degli eventi avversi provocati dai primi, senza dimenticare la non necessità di effettuare fastidiosi e periodici esami laboratoristici per conoscere la bontà del dosaggio utilizzato. Pur essendo farmaci salvavita tutti i farmaci anticoagulanti presentano un importante rischio rappresentato dai sanguinamenti, spesso repentini e dalle drammatiche conseguenze. La scoperta e l’utilizzo dei NAO nasce proprio per ridurre tale rischio dei TAO, pur essendo stati loro stessi per anni privi di antidoti specifici, antidoti solo negli ultimi mesi definiti.

Al fine di ridurre i potenziali rischi da sanguinamento è stata organizzata dall’American College of Cardiology un Anticoagulation Consortium Roundtable che ha portato alla redazione di un expert consensus su questioni di pratica clinica quotidiana inerenti al controllo del sanguinamento nei pazienti in terapia con anti-coagulanti orali, ed il loro lavoro rappresenta l’oggetto della  odierna segnalazione, pubblicato sul Journal of the American College of Cardiology.

Tale contributo, dopo varie considerazioni generali sui farmaci trattati, passa poi a definire il campo di applicazione delle loro raccomandazioni, vale a dire i sanguinamenti, dal Gruppo di Cardiologi distinguibili in 2 Gruppi: i sanguinamenti maggiori e quelli minori. Questi sono così definibili:

Grandi Sanguinamenti:

  • quelli che hanno necessitato una emotrasfusioni superiori alle 2 unità di globuli rossi
  • una perdita di emoglobina superiore a 2 grammi
  • quelli in organi critici, tipo il cervello
  • nonchè quelli che hanno provocato conseguenze emodinamiche

Sanguinamenti Minori:

  • tutti gli altri

L’Algoritmo realizzato da tale Gruppo di lavoro si sviluppa, successivamente in 3 steps:

  • valutazione del tipo e della gravità di sanguinamento
  • definizione delle modalità di sanguinamento
  • valutazione della (eventuale) ripresa della terapia

Protocollo Trattamento Sanguinamenti

  • Sanguinamento Maggiore:
    • interrompere il trattamento con anticoagulanti o con antiaggreganti piastrinici
    • somministrare 5-10 mg di Vitamina K in caso di trattamento con VKA
    • effettuare, se necessario, una compressione manuale.
    • somministrazione di liquidi per via parenterale
    • trattare le patologie (mediche e/o chirurgiche) concomitanti ed aggravanti il sanguinamento
    • utilizzare un eventuale antidoto (vedi dopo)
    • all’instaurarsi di una stabilizzazione del Pazienti, rivalutare la ripresa dell’anticoagulante
  • Sanguinamento Minore che ha necessitato di un ricovero, intervento o trasfusione
    • interrompere il trattamento con anticoagulanti o con antiaggreganti piastrinici
    • somministrare 2-5 mg di Vitamina K in caso di trattamento con VKA
    • non somministrare antidoti nei pazienti non in terapia con VKA
    • terapie di supporto
    • eventuale compressione locale
    • trattare le patologie (mediche e/o chirurgiche) concomitanti ed aggravanti il sanguinamento
    • all’instaurarsi di una stabilizzazione del Pazienti, rivalutare la ripresa dell’anticoagulante
  • Sanguinamento Minore che non ha necessitato di un ricovero, intervento o trasfusione
    • valutare se interrompere il trattamento con anticoagulanti o con antiaggreganti piastrinici
    • eventuale compressione locale
    • trattare le patologie (mediche e/o chirurgiche) concomitanti ed aggravanti il sanguinamento
    • all’instaurarsi di una stabilizzazione del Pazienti, valutare la bontà posologica dell’anticoagulante

 

Gli ‘antidoti’ alla terapia anticoagulante
Warfarin (VKA):

  • vitamina K che può essere somministrata per os, per via sottocutanea (non raccomandata) o endovenosa. La via endovenosa (la vitamina K può essere infusa in 25-50 cc di soluzione fisiologica in 15-30 minuti) riduce l’INR nell’arco di 4-6 ore; la via orale determina una riduzione dell’INR più lenta, nell’arco di 18-24 ore.
  • in sua assenza: somministrazione di plasma o concentrati del complesso protrombinico (PCC) (se non disponibile il 4F-PCC , concentrati del complesso protrombinico a 4 fattori)

Dabigatran

Inibitori del fattore Xa (apixaban, edoxaban, rivaroxaban).

  • Al momento non si dispone di antidoti specifici per questi nuovi anticoagulanti;
  • come strategia correttiva si può ricorrere dunque anche in questo caso alla somministrazione  di 4F-PCC; l’uso di aPCC è considerato di seconda scelta per questi farmaci.

Antidoti in sviluppo.
Andexanet alfa. E’ l’antidoto specifico per gli inibitori del fattore Xa attualmente in sviluppo. La somministrazione in bolo, seguita da infusione di 2 ore, cancella rapidamente l’effetto anticoagulante di apixaban e rivaroxaban

Ciraparantag. Testato per ora solo in uno studio di fase 1, ha dimostrato una rapida e sostenuta azione di annullamento dell’effetto anticoagulante dell’edoxaban.

 

Valutazioni di laboratorio del paziente scoagulato.

Di fronte ad un’emorragia di un paziente in trattamento anticoagulante è molto importante poter misurare l’attività anticoagulante, utilizzando esami di laboratorio appropriati ed affidabili. In particolare:

  • In tutti i pazienti è necessario il tempo di protrombina (PT) e/o al tempo di tromboplastina parziale attivata (aPTT). A seconda dell’anticoagulante utilizzato e della disponibilità si potrà procedere all’esecuzione di test di coagulazione speciali.
  • Soggetti in trattamento con VKA (es. warfarin): PT/INR.
  • Soggetti in terapia con dabigatran: il tempo di trombina diluito (dTT), il tempo di coagulazione all’ecarina (ECT) e il test all’ecarina cromogenico (ECA). Tutti esami poco facilmente eseguibili. In assenza di questi test, tempo di trombina (TT) e a PTT.
  • Soggetti in terapia con apixaban edoxaban e rivaroxaban: la valutazione dell’attività anti-Xa con metodo cromogenico.

 

Quando riprendere la terapia anticoagulante.

Si tratta di un aspetto particolarmente delicato e di difficile valutazione, richiedendo la valutazione di più aspetti clinico-farmacologici-laboratoristici ecc. Ampio spazio e numerose tabelle del paper sono riservate a tale problema, per cui si consiglia di ricorrere alla lettura del Documento. Anticipiamo solo alcune conclusioni: ……….nella maggior parte dei casi, c’è un beneficio clinico netto nel ricominciare l’OAC dopo un evento di sanguinamento. Dopo che un paziente ha avuto un evento emorragico su OAC, l’indicazione per l’OAC deve essere rivalutata per determinare se la continuazione della terapia è giustificata sulla base delle linee guida della pratica clinica stabilite. Le seguenti sono le condizioni possibili per le quali l’OAC non può più essere indicato:

  • Fibrillazione atriale parossistica con punteggio CHA2DS2-VASc ≤1
  • Indicazione temporanea per OAC (ad esempio, profilassi post-chirurgica, OAC dopo un infarto miocardico anteriore senza trombo ventricolare sinistro, cardiomiopatia da stress acuto recuperata [es., Cardiomiopatia di Takotsubo], prima volta provocata tromboembolia venosa> 3 mesi fa o posizionamento della valvola bioprotesica> 3 mesi fa)

Se c’è un’indicazione in corso per OAC, il clinico deve valutare il beneficio clinico netto di OAC nel contesto di un sanguinamento recente per decidere se il rischio di sanguinamento temporaneamente o permanentemente supera il beneficio del trattamento o tromboprofilassi con OAC. Questa valutazione rischio-beneficio dovrebbe essere condotta in consultazione con altri professionisti (ad esempio chirurghi, interventisti e neurologi) e in discussione con pazienti o assistenti.

Ci sono molti fattori che contribuiscono alla valutazione rischio-beneficio del riavvio della terapia anticoagulante. Possono essere affrontati i fattori reversibili che possono aver contribuito all’emorragia, come un alto INR in un paziente su un VKA, una concomitante terapia antiaggregante, un’insufficienza renale acuta o in peggioramento che porta a livelli elevati di OAC, o significative interazioni farmacologiche che potrebbero aumentare i livelli di DOAC prima di riprendere la terapia. Determinare l’adeguatezza del farmaco e la dose per i singoli pazienti in base all’indicazione, all’età, al peso e alla funzionalità renale è importante per minimizzare il potenziale di eventi avversi. Se il paziente è in terapia antipiastrinica, è opportuno rivalutare se sia necessaria una duplice terapia antiaggregante o se l’aspirina possa essere sospesa.

Le caratteristiche del sanguinamento che contribuiscono sostanzialmente al rischio di riavvio della terapia anticoagulante includono, ma non sono limitate a:

  • la posizione dell’emorragia (cioè, sito critico o non critico);
  • la fonte di sanguinamento e se è stato definitivamente identificato e trattato;
  • il meccanismo del sanguinamento (cioè traumatico o spontaneo); e
  • se sono pianificati ulteriori interventi chirurgici o procedurali.

Infine, l’indicazione per l’anticoagulazione deve essere presa in considerazione, poiché i pazienti che presentano un alto rischio trombotico trarranno probabilmente beneficio dalla ripresa della terapia anticoagulante, anche se il rischio di risanguinamento è elevato. 

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Post n° 205 Inserito il 05 Dicembre 2017  –  Testo by giuliani gian carlo  –  Foto by pexels.com

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Nota dell’Autoretale contributo fornisce aggiornamenti medici presenti nella Letteratura Scientifica, ma non rappresenta, in alcun modo, l’equivalente di consigli od indicazioni mediche o terapeutiche.

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