Siano generalmente portati a pensare che i virus rappresentino microrganismi le cui caratteristiche genetiche sia in continue evoluzioni e modificazioni. Vedi, ad esempio, i Virus dell’Influenza, differenti, seppur simili, ogni anno, modificando il proprio patrimonio genetico anche nel corso della stessa epidemia influenzale. Questo, però, non sembra proprio essere vero per il Virus dell’Epatite B. L’HBV è, come noto, un virus appartenente alla famiglia degli Hepadnavirida e presenta un genoma a DNA a doppio filamento circolare e un virione icosaedrico rivestito. Per la replicazione sfrutta la trascrittasi inversa, fa perciò parte dei virus a DNA a trascrizione inversa (detti anche retrovirus a DNA), del gruppo VII della Classificazione di Baltimore, attraverso una forma intermedia a RNA e l’uso di una trascrittasi inversa che lo fa assomigliare ai retrovirus. Se ne conoscono quattro sierotipi.: adr, ADW, Ayr, ayw.

Anche se la prima epidemia da infezione di HBV fu segnalata nel 1885, il virus non fu comunque scoperto fino al 1965, ad opera di Baruch Blumberg, che scoprì l’antigene Australia nel sangue di australiani aborigeni. Nel 1970, venne visualizzato il virus e nei primi anni ottanta il genoma del virus è stato sequenziato e furono testati i primi vaccini.

La segnalazione di oggi (pubblicata su Plos Pathogen) è relativa all’individuazione del Virus dell’Epatite B sulla mummia di un bambino imbalsamato e e conservato nella Basilica di San Domenico Maggiore a Napoli, bambino che si era sempre ipotizzato fosse morto di vaiolo circa 450 anni fa. La ricerca è opera condivisa di Ricercatori della McMaster University di Hamilton (Canada) e della Divisione di Paleopatologia dell’Università di Pisa.

Sorprendentemente, sia la sequenza dell’HBV che quella del DNA mitocondriale ospite associato mostravano uno schema di deaminazione della citosina quasi identico vicino ai termini dei frammenti di DNA, caratteristici di un’origine antica. Al contrario, le analisi filogenetiche hanno rivelato una stretta relazione tra il virus antico putativo e ceppi di HBV contemporanei (del genotipo D), inizialmente a suggerire la contaminazione. Nell’affrontare questo paradosso dimostriamo che l’evoluzione dell’HBV è caratterizzata da una marcata mancanza di struttura temporale. Questo confonde i tentativi di utilizzare metodi basati sull’orologio molecolare per datare l’origine di questo virus nel periodo di tempo finora campionato, e significa che le misure filogenetiche da sole non possono ancora essere utilizzate per determinare l’autenticità della sequenza dell’HBV. Se genuino, questo modello filogenetico indica che i genotipi dell’HBV si sono diversificati molto prima del XVI secolo e consente il confronto di potenziali somiglianze patogene tra l’HBV moderno e antico. Questi risultati hanno importanti implicazioni per la nostra comprensione dell’emergenza e dell’evoluzione di questo comune agente patogeno virale (Abstract).

«Più comprendiamo meglio il comportamento delle pandemie e delle epidemie passate, maggiore è la nostra comprensione di come i moderni agenti patogeni potrebbero diffondersi. E queste informazioni alla fine contribuiranno agli sforzi per controllare questi minuscoli killer», le conclusioni di Hendrik Poinar, genetista evolutivo del McMaster Ancient Dna Center e investigatore principale all’Istituto Michael G. DeGroote per la ricerca sulle malattie infettive.

________________________________________________________________________________

Post n° 219 (6° del 2018) Inserito il 13 Gennaio 2018  –  Testo by giuliani gian carlo  –  Foto by alimentarmente.it (le Mummie di San Domenico Maggiore – Napoli)

Presentazione del Blog di Formazione-Sanitaria.

(Legenda: Testo  –  Collegamenti-Link  –  Testo rilevante senza collegamenti)

________________________________________________________________________________