“Se qualcuno in questo momento mi chiedesse cosa è la felicità non avrei dubbi: felicità è aprire la porta della camera da letto e scoprire che dorme”. Una moglie-caregiver

(citato da A. Tognetti “Le problematiche del caregiver” – Giornale di Gerontologia 2004; 52:505-510)

Come primo appuntamento con “Le Parole dell’Assistenzanon potevamo non cominciare dal termine “Caregiver“, parola entrata da alcuni anni nella nostra quotidianità e che “letteralmente” significa “colui che presta le cure“.  Come segnalato dall’Enciclopedia Treccani, tale termine individua “chi dà assistenza ad una Persona Non Autosufficiente“, identificabile anche come “accuditore“.  

Nell’ambito dei profondi cambiamenti che i mondi dell’assistenza e della sanità hanno presentato negli ultimi anni, la comparsa di tale nuova figura ne ha soprattutto caratterizzato tale scenario. Stiamo parlando proprio della figura del Caregiver, che, insieme all’altra nuova figura, il Badante, sta costituendo quel Welfare Domestico che, costituendo una vera e propria rete silenziosa di assistenza, sopperisce spesso al carente intervento delle Istituzioni preposte.

Tale termine è ormai entrato nel linguaggio comune, e non solo degli Operatori, Sanitari ed Assistenziali, pur risultando spesso mal utilizzato o non compreso, ritenendo, ad esempio, che il Caregiver sia il Familiare di cui, come Operatori, abbiamo il numero di telefono e che sia quello che verrà, ad esempio, a prendere il Paziente al momento delle dimissioni dopo un ricovero sanitario od assistenziale. Con tale termine intendiamo, invece, l’individuo responsabile che, in un ambito domestico, si prende cura di un soggetto dipendente e\o disabile. In pratica è colui che organizza e definisce l’assistenza che il Paziente necessita, risultando generalmente essere un familiare (ed in tal caso è il familiare di riferimento), ma non necessariamente, potendo essere un conoscente, un amico, un vicino, un volontario od altro. In questi ultimi anni si riscontra, con frequenza sempre maggiore, una nuova figura, il caregiver-professionale (o badante), rappresentato da un assistente familiare che accudisce la persona non-autosufficiente, sotto la verifica, diretta o indiretta, di un familiare.

Molti sono gli studi condotti per analizzare il profilo dei caregivers, questi soprattutto in due ambiti specifici, entrami particolari generatore di “stress dell’assistenza”: la demenza senile e le cure palliative per patologie oncologiche. Sono inoltre state definite alcune Scale di Valutazione per definirne profilo ed attitudini [citiamo la “Caregiver Burden Inventory” (CBI)] o quantificazione e definizione del livello di stress [“RSS”]. Ma non solo, l’attività del caregiver è stata riconosciuta dalla legge di Bilancio 2018, che ha istituito per loro un fondo di 20 milioni di euro l’anno per il triennio 2018-2020 e successivi, definendo caregiver la persona che assiste e si prende cura del coniuge, dell’altra parte dell’unione civile tra persone dello stesso sesso o del convivente di fatto, di un parente o di un affine entro il secondo grado, o di un parente entro il terzo grado se i genitori o il coniuge (o la parte dell’unione civile) della persona assistita abbiano compiuto i sessantacinque anni di età oppure siano anch’essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti. Inoltre, il caregiver deve prendersi cura di una persona che, per malattia, infermità o disabilità, anche croniche o degenerative, non è autosufficiente, o è riconosciuto invalido in quanto bisognoso di assistenza globale e continua di lunga durata oppure è titolare di un’indennità di accompagnamento. Anche perché senza distinzioni e selezioni l’intero stanziamento varrebbe poco meno di 3 euro l’anno a caregiver. Un panorama più completo sulle Normative vigenti e sulle Proposte di Legge sulla figura del caregiver familiare è presente sul Sito della Camera in un apposito Dossier. Senza dimenticare il non recente bonus caregiver.

Una segnalazione utile per capire chi è oggi il Caregiver è relativa alla pubblicazione da parte dell’ISTAT dei più aggiornati dati (2017) sulle condizioni di salute ed il ricorso ai Servizi Sanitari in Italia e nell’Unione Europea. Da questa apprendiamo come siano caregivers ben 8 milioni e mezzo di Italiani , oltre il 17% della Popolazione e come di questi oltre 7 milioni siano coloro che svolgono tale “attività” nei confronti dei propri parenti, mentre verosimilmente un milione circa sia rappresentato da caregivers-professionali (tra regolarizzati e sommerso). Un numero sicuramente elevato e che ci fa meglio capire le dimensioni del fenomeno della non-autosufficienza.

Sempre dagli stessi dati apprendiamo come le fasce d’età di caregivers maggiormente rappresentate sono quelle tra i 45 ed i 55 anni e tra i 55 ed i 65 anni, rappresentando oltre il 50% dei casi. I dato confermano non solo la crescita dei Caregivers, ma anche come la loro età media stia progressivamente aumentando: sempre più spesso gli anziani hanno caregivers anziani. Nel Veneto è riscontrabile la più elevata percentuale di caregivers mentre in Umbria si assiste alla più elevata percentuale di chi assiste familiari. Sempre in Veneto si registra il maggior numero di ore singolarmente dedicate mentre in Sicilia si registra in minor numero medio. Inoltre, chi ha un livello medio di assistenza è maggiormente coinvolto in attività di assistenza, mentre chi ha il livello maggiore dedica poche ore e chi ha un livello basso ne dedica un numero maggiore. Curiosamente (!??!) chi ha redditi maggiori presta più assistenza, contrariamente a chi ha redditi inferiori.

Si tratta di dati sicuramente interessanti, che meglio ci possono far capire la realtà del mondo della non-autosufficienza e di quanto poco sia stato finora realizzato nei confronti dei Pazienti Cronici, devolvendo, magari, maggiori attenzioni a quelli Acuti.

Parlavamo di Stress del Caregiver, fenomeno comune ed importante che può provocare in chi assiste anche importanti disturbi psico-fisici, tanto da stimolare la necessità di assistere chi assiste. A tal proposito leggiamo l’Abstract del paper: Differenze di genere negli esiti psicosociali avversi tra i Caregiver familiari: una revisione sistematica.

I progressi nella tecnologia medica, nella ricerca e nei trattamenti hanno contribuito a una maggiore durata della vita (Lichtenberg, 2017). A causa di una popolazione adulta anziana in crescita, l’aumento dei rischi e della prevalenza di malattie croniche è diventato una sfida per il sistema sanitario degli Stati Uniti. Per soddisfare le esigenze del numero crescente di anziani con malattie croniche, i caregiver informali e familiari stanno fornendo cure preziose per le esigenze di questa popolazione in crescita. La prevalenza di assistenza per un adulto di età superiore ai 50 anni è aumentata dal 14,3% o 34,2 milioni di adulti al 16,8% o 41,8 milioni negli ultimi cinque anni (AARP e NAC, 2020). Secondo l’Alzheimer’s Association, i caregiver informali o familiari forniscono circa l’83% dell’assistenza a tutti gli anziani, pari a 244 miliardi di dollari di valore economico negli Stati Uniti (Alzheimer’s Association, 2021). Che si tratti di soddisfare le esigenze fisiche, emotive e psicologiche dei malati cronici o di gestire l’impatto finanziario che hanno sulla società, i caregiver svolgono un ruolo inestimabile per la salute della popolazione adulta sempre più anziana.
Nonostante i contributi positivi che i caregiver hanno sulle popolazioni e sulla società, ci sono conseguenze negative che accompagnano il ruolo di caregiver. A seconda del tipo e della gravità della malattia cronica del destinatario delle cure, i caregiver sono a rischio di sviluppare i propri problemi di salute fisica e psicologica (AARP e NAC, 2020). Ad esempio, i caregiver di persone con malattia di Alzheimer o altre demenze possono sviluppare stress, ansia e carico emotivo a causa delle richieste di assistenza della persona cara (Goren et al., 2016Richardson et al., 2013Tatangelo et al., 2018). Oltre agli impatti psicologici ed emotivi, i rischi di conseguenze fisiche negative derivanti dall’assistenza possono essere attribuiti alle richieste fisiche dirette del destinatario delle cure o alla ridotta attenzione ai bisogni di salute dei caregiver stessi. Uno studio ha rilevato un collegamento tra i caregiver e un aumento dei livelli del biomarcatore interleuchina-6 (Mausbach et al., 2011). È noto che l’interleuchina-6 è associata a un rischio aumentato di morbilità come malattie cardiovascolari, diabete, osteoporosi, artrite e declino funzionale generale (Wennberg et al., 2015). A causa di questi esiti negativi associati all’assistenza, è stato condotto un crescente numero di ricerche sulla salute e il benessere dei caregiver.
Il ruolo di caregiver è difficile a causa della complessità di molteplici fattori che potrebbero influenzare il modo in cui il ruolo viene percepito e svolto. Uno di questi fattori che non ha ricevuto molta attenzione è il modo in cui il genere e i ruoli di genere influenzano i caregiver. Ciò è particolarmente importante in un periodo in cui le opinioni della società sul genere e sui ruoli di genere stanno diventando sempre più riconcettualizzate, aprendo opportunità per più persone di svolgere ruoli e professioni diversi un tempo dominati da un genere particolare (Mott et al., 2019). Ciò è particolarmente vero per l’assistenza che è stata storicamente considerata un ruolo femminile. Tuttavia, negli ultimi anni, poiché le esigenze della popolazione anziana continuano ad aumentare e la necessità di caregiver disponibili aumenta, gli uomini stanno iniziando a colmare queste lacune. La percentuale di caregiver che sono uomini è aumentata dal 34% a quasi il 40% nell’ultimo decennio (Caregiving.org, 2020). Sebbene il numero di caregiver maschi sia in aumento, la maggior parte della ricerca sui caregiver è ancora fortemente incentrata sulle donne o include una percentuale sproporzionatamente bassa di partecipanti maschi. Ad esempio, uno studio che esamina il concetto di compassion fatigue nei caregiver di un genitore affetto da demenza ha incluso solo i caregiver delle figlie (Day et al., 2014). Poiché la distribuzione di genere tra i caregiver diventa più equilibrata, è importante esplorare le differenze tra il modo in cui uomini e donne percepiscono il loro ruolo di caregiver.
L’assistenza può anche avere fattori secondari che possono avere un impatto sulla salute e il benessere dei caregiver informali. Il tempo necessario per svolgere attività di assistenza di solito ostacola altri aspetti della vita come la famiglia e il lavoro. Uno studio in Giappone ha scoperto che i caregiver hanno riportato un assenteismo significativamente più elevato, una compromissione correlata al presenteismo e una riduzione delle prestazioni lavorative complessive rispetto ai non caregiver (Goren et al., 2016). L’impatto sulle prestazioni lavorative può essere ulteriormente influenzato da variabili aggiuntive, come l’età del caregiver e la relazione con il destinatario dell’assistenza. Le interruzioni del lavoro e dell’occupazione possono essere più evidenti nei caregiver della “generazione sandwich” a causa delle loro responsabilità aggiuntive di bilanciamento tra lavoro, assistenza a genitori e figli, relazioni coniugali e richieste da altri aspetti della loro vita (O’Sullivan, 2014). Un aspetto importante per i caregiver che lavorano e il modo in cui il genere può influenzare il loro ruolo di caregiver può essere correlato alle responsabilità finanziarie. Secondo una recente analisi del Pew Research Center del 2018, le donne guadagnavano ancora l’85% di quanto guadagnavano gli uomini in salari orari medi, e ci vorrebbero 39 giorni di lavoro in più perché una donna guadagni quanto un uomo (Graff et al., 2019). Questa disparità di retribuzione può giocare un ruolo nel lavoro dei caregiver e nelle differenze basate sul genere dovute alle disuguaglianze nella stabilità finanziaria, che incidono sul loro ruolo di caregiver.
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Post n° 355 (5° del 2025) – Inserito il 19 Marzo 2025 – Testo di giuliani gian carlo – Foto Foto Mediaset

Presentazione del Blog di Formazione-Sanitaria.it   

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Segnalazioni: la recensione di Quotidiano Sanità, con allegati.