Nell’ambito dei profondi cambiamenti che i mondi dell’assistenza e della sanità hanno presentato negli ultimi anni, la comparsa di una nuova figura ne ha soprattutto caratterizzato tale scenario. Stiamo parlando della figura del Caregiver, che, insieme all’altra nuova figura, il Badante, sta costituendo quel Welfare Domestico che, costituendo una vera e propria rete silenziosa di assistenza, sopperisce al carente intervento Statale .

Tale termine è ormai entrato nel linguaggio comune, e non solo degli Operatori, Sanitari ed Assistenziali, pur risultando spesso mal utilizzato o non compreso, ritenendo, ad esempio, che il Caregiver sia il Familiare di cui, come operatori, abbiamo il numero di telefono e che sia quello che verrà a prendere il Paziente al momento delle dimissioni dopo un ricovero sanitario. Con il termine “caregiver” (letteralmente “donatore di cura”), intendiamo, invece, l’individuo responsabile che, in un ambito domestico, si prende cura di un soggetto dipendente e\o disabile. In pratica è colui che organizza e definisce l’assistenza che il Paziente necessita, risultando generalmente essere un familiare (ed in tal caso è il familiare di riferimento), ma non necessariamente, potendo essere un conoscente, un amico, un vicino, un volontario od altro. In questi ultimi anni si riscontra, con frequenza sempre maggiore, una nuova figura, il caregiver-professionale (o badante), rappresentato da un assistente familiare che accudisce la persona non-autosufficiente, sotto la verifica, diretta o indiretta, di un familiare.

Molti sono gli studi condotti per analizzare il “profilo” dei caregivers, questi soprattutto in due ambiti specifici: la demenza senile e le cure palliative per patologie oncologiche. Sono inoltre state definite alcune Scale di Valutazione per definirne profilo ed attitudini [citiamo la “Caregiver Burden Inventory” (CBI)] o quantificazione e definizione del livello di stress [“RSS”]. Ma non solo, l’attività del caregiver è stata appena riconosciuta dalla legge di Bilancio 2018, che ha istituito per loro un fondo di 20 milioni di euro l’anno per il triennio 2018-2020, definendo caregiver la persona che assiste e si prende cura del coniuge, dell’altra parte dell’unione civile tra persone dello stesso sesso o del convivente di fatto, di un parente o di un affine entro il secondo grado, o di un parente entro il terzo grado se i genitori o il coniuge (o la parte dell’unione civile) della persona assistita abbiano compiuto i sessantacinque anni di età oppure siano anch’essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti. Inoltre, il caregiver deve prendersi cura di una persona che, per malattia, infermità o disabilità, anche croniche o degenerative, non è autosufficiente, o è riconosciuto invalido in quanto bisognoso di assistenza globale e continua di lunga durata oppure è titolare di un’indennità di accompagnamento. Anche perché senza distinzioni e selezioni l’intero stanziamento varrebbe poco meno di 3 euro l’anno a caregiver.

La segnalazione di oggi è relativa alla pubblicazione da parte dell’ISTAT dei più aggiornati dati (2015) sulle condizioni di salute e ricorso ai Servizi Sanitari in Italia e nell’Unione Europea. Da questa apprendiamo come siano caregivers ben 8 milioni e mezzo di Italiani , oltre il 17% della Popolazione e come di questi oltre 7 milioni siano coloro che svolgono tale “attività” nei confronti dei propri parenti, mentre verosimilmente un milione circa sia rappresentato da caregivers-professionali (tra regolarizzati e sommerso). Un numero sicuramente elevato e che ci fa meglio capire le dimensioni del fenomeno della non-autosufficienza.

Sempre dagli stessi dati apprendiamo come le fasce d’età di caregivers maggiormente rappresentate sono quelle tra i 45 ed i 55 anni e tra i 55 ed i 65 anni, rappresentando oltre il 50% dei casi. I dato confermano non solo la crescita dei Caregivers, ma anche come la loro età media stia progressivamente aumentando: sempre più spesso gli anziani hanno caregivers anziani. Nel Veneto è riscontrabile la più elevata percentuale di caregivers mentre in Umbria si assiste alla più elevata percentuale di chi assiste familiari. Sempre in Veneto si registra il maggior numero di ore singolarmente dedicate mentre in Sicilia si registra in minor numero medio. Inoltre, chi ha un livello medio di assistenza è maggiormente coinvolto in attività di assistenza, mentre chi ha il livello maggiore dedica poche ore e chi ha un livello basso ne dedica un numero maggiore. Curiosamente (?) chi ha redditi maggiori presta più assistenza, contrariamente a chi ha redditi inferiori.

Si tratta di dati sicuramente interessanti, che meglio ci possono far capire la realtà del mondo della non-autosufficienza e di quanto poco sia stato finora realizzato nei confronti dei Pazienti Cronici, devolvendo, magari, maggiori attenzioni a quelli Acuti.

Segnalazioni: la recensione di Quotidiano Sanità, con allegati.

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Post n° 222 (9° del 2018) Inserito il 23 Gennaio 2018  –  Testo by giuliani gian carlo   –  Foto by thecaregiverspace.org

Presentazione del Blog di Formazione-Sanitaria.it 

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