Nel corso della storia, negli Stati Uniti si sono verificati miglioramenti significativi per quanto riguarda la salute in generale e le aspettative di vita, prevalentemente come outcome di diverse iniziative di salute pubblica, promozione della salute, prevenzione delle malattie e gestione delle malattie croniche. Le capacità di prevenire, diagnosticare e curare le malattie quanto più precocemente possibile hanno consentito di ridurre i tassi americani di morbilità e mortalità. Nonostante tali interventi abbiamo consentito di migliorare la salute della popolazione in generale, le minoranze etniche e razziali (afroamericani, latinoispanici, nativi americani e le minoranze etniche delle regioni dell’Alaska o delle Isole del Pacifico) hanno potuto trarre minori benefici dai progressi della medicina rispetto ai soggetti di razza bianca e mostrano outcome di salute più scadenti per quanto riguarda molte delle principali condizioni patologiche, incluse le malattie cardiovascolari, le neoplasie ed il diabete (modificato da Harrison – Principi di Medicina Interna – 19° Ediz.) .

In tutte queste differenze si mischiano fattori genetici, economici, sociali, socio-culturali, differenti possibilità di accesso alle cure, riduzione degli studi di popolazione, pregiudizi, difficoltà di comunicazione ed altro, di entità tali da poter giustificare le diseguaglianze etniche e razziali nell’ambito della salute, come ancora sottolineato dal National Healthcare Disparities Report 2013 reso pubblico dall’Agency for Healthcare Research and Quality nel 2014. Questo a sottolineare come spesso fattori genetici, associandosi a fattori di altra natura, possano far lievitare tassi di morbilità e mortalità.

E’ del Febbraio 2017 la pubblicazione sul Journal of Alzheimer’s Disease di una ricerca epidemiologica effettuata presso la Mayo Clinic relativa alle possibili cause genetiche che contribuiscano all’esplosione della Malattia di Alzheimer nella popolazione afroamericana. Il Morbo di Alzheimer è la sesta causa generale di morte negli Stati Uniti, ma per gli afroamericani ne rappresenta addirittura la quarta. E attualmente non esiste una cura che possa rallentare la progressione della malattia: una delle sfide è stata proprio la realizzazione di una ricerca sugli afro-americani in quanto l’individuare delle varianti genetiche potrebbe essere utilizzato per la prevenzione e la diagnosi precoce della malattia. Soprattutto per quelle forme ad esordio precoce, verosimilmente causate da irregolarità genetiche.

In questo studio, i ricercatori hanno cercato le mutazioni genetiche in tre geni noti per contribuire alla malattia di Alzheimer ad esordio precoce. I tre geni ─ APP, PSEN1 e PSEN2 ─ sono coinvolti nella produzione e rimaneggiamento delle proteine ​​nell’ambito delle normali funzioni cerebrali. Ma mutazioni in questi geni possono provocare l’aumento della quantità del peptide beta-amiloide (Abeta) che porta alle placche amiloidi che si accumulano nel cervello dei malati di Alzheimer. L’aumento della quantità di tali placche nel cervello rispecchia la progressione della demenza di Alzheimer. L’intera analisi sequenziale dei 238 soggetti afro-americani ha identificato 6 varianti considerate rare nei geni EOAD, che sono stati osservati in casi di AD, ma mai tra i controlli. Queste varianti sono state analizzate in una altra coorte indipendente di 300 soggetti afroamericani in cui sono state osservate altre varianti del PSEN2 (NM_000447, exon5, c.T331C ecc.), indicando che queste nuove rare varianti, possano contribuire al rischio per la Malattia di Alzheimer in questa popolazione.

 

Key Words:   Demenza

Inserito il 26 Marzo 2017   –   Testo by giuliani gian carlo   –   Foto by Focus