Che i Delfini siano animali affascinanti è un dato ormai noto a tutti, così come l’evidenza di quanto sia ricco di sorprese il loro cervello. In un nostro precedente contributo scrivevamo come “il cervello dei Delfini sia da sempre considerato uno dei più complessi e di dimensioni in proporzione maggiori rispetto al resto del corpo, con dimensioni paragonabili a quelli di una scimmia antropomorfa. Rispetto a quello umano il cervello dei delfini è anch’esso composto da due emisferi, ma con una minore componente di corteccia. Dei due emisferi almeno uno, in alternanza, rimane sempre sveglio, permettendo la respirazione, in questi animali solo volontaria. Tale sviluppo e complessità del cervello è da molti scienziati valutato come sinonimo di intelligenza e grandi potenzialità, anche di linguaggio, mentre per altri tali caratteristiche permettono loro solo la capacità di svolgere curiose attività motorie, tipo il “camminare” all’indietro sull’acqua utilizzando la coda come perno. Un’ulteriore caratteristica del cervello dei delfini è l’assenza di una replicazione dei neuroni, molto simile a quella che avviene in quello umano, ove invece ogni tentativo di riparazione è supportato dalla neuroplasticità, cioè la capacità di assumere caratteristiche e funzioni di altre cellule neuronali, solo limitatamente caratterizzata da replicazioni cellulari“.
Dato l’enorme sviluppo di tale cervello, risulta ovvia la domanda: “ma i delfini sviluppano malattie neurodegenerative tipo il Morbo d’Alzheimer?“ A rispondere a tale dubbio ci viene incontro un recente contributo scientifico pubblicato su Alzheimer’s & Dementia, rivista ufficiale dell’Associazione Americana Alzheimer, segnalato anche dall’interessante ed aggiornatissimo Sito dell’Associazione Alzheimer onlus di Riese Pio X (Tv).
Tale paper è relativo ad uno studio che suggerisce come il Morbo di Alzheimer (MA) e il diabete di tipo 2 possano essere entrambi il prezzo di una durata di vita più lunga, e come la causa comune sia l’alterazione rappresentata dalla disfunzione dell’insulina. Questo studio risulterebbe, inoltre, il primo ad individuare segni di Malattia di Alzheimer in un animale selvatico, con tanto di placche e grovigli proteici nel cervello animale. Tutti gli altri studi avevano infatti dimostrato la presenza di invecchiamento, anche patologico, negli animali domestici, cani e gatti in particolare, anch’essi caratterizzati da un progressivo ed avanzato invecchiamento, tanto che sono descritti dei quadri clinici che ricordano l’Alzheimer umano (tipo la Disfunzione Cognitiva Canina), che però non riconoscono gli stessi meccanismi ezio-patogenetici ed anatomici della MA. Non vi erano, però, sicuri dati relativi alla presenza di MA negli animali selvatici.
Nello studio pubblicato sulla rivista Alzheimer’s and Dementia, i ricercatori hanno testato l’idea che vivere a lungo dopo la fine della fertilità potrebbe essere legato all’MA, studiando il cervello di un’altra specie che può sopravvivere a lungo dopo aver avuto la prole: i delfini. Segni di MA sono stati, così, riscontrati nel cervello dei delfini spiaggiati e morti sulle coste spagnole, alla pari della proteina beta-amiloide e dei grovigli della proteina tau, entrambi spie diagnostiche della Malattia di Alzheimer. Gli Autori ritengono che sia gli esseri umani che i delfini siano pressoché esclusivamente suscettibili all’MA, a causa delle alterazioni del funzionamento dell’ormone insulina.
Questa la conclusione degli Autori: “….il nostro studio suggerisce che i delfini e le orche (che hanno anch’esse una lunga vita post-fertilità) siano simili agli umani in molti modi; hanno un sistema di segnalazione dell’insulina che li rende un modello interessante di diabete e ora abbiamo dimostrato che il cervello dei delfini mostra segni di Alzheimer identici a quelli osservati nelle persone”.
Inserito il 01 Novembre 2017 – Testo by giuliani gian carlo – Foto by giuliani gian carlo (del 09 Aprile 2017 presso Acquario di Genova)