La Terapia del Dolore, pur ancora lontana dall’obiettivo (praticamente impossibile ma anche poco auspicabile) del  cosiddetto <dolore zero>, si è negli anni arricchita di numerosi prodotti che, grazie anche all’introduzione in Italia della Legge 38, sono poco per volta diventati sempre più comuni nella pratica quotidiana medica, prevalentemente quella ospedaliera ma anche quella di Base. Certo per una buona fetta di Opinione Pubblica, di molti Pazienti ma anche di qualche Operatore Sanitario poco aggiornato, il percorso di accettazione dell’utilizzo dei derivati della morfina non è stato facile, tanto che ancora oggi, a distanza di 7 anni dalla promulgazione della citata Legge ci troviamo ancora a profonde differenze, anche regionali, nella sua applicazione.

Il ritardo, comunque, vede protagoniste molte Nazioni. Infatti mentre alcuni Paesi esteri (tipo gli Stati Uniti) stanno incominciando a rivedere le strategie terapeutiche della terapia con oppiodi dopo che questi aveva raggiunto dosaggi e diffusioni stratosferiche, in altri, tipo l’Italia, si incomincia solo adesso a valutare l’ipotesi di altri prodotti farmacologici, verso i quali i pregiudizi nel mondo non sanitario risultano ancora più radicati: i cannabinoidi.

Una buona review sui cannabinoidi e sul loro utilizzo nell’ambito della Terapia del Dolore è stata definita a cura della Fondazione GIMBE e pubblicata online su Evidence.  Dopo aver ripercorso la storia dei cannabinoidi ed aver segnalato i risultati della (limitata) Letteratura scientifica esistente, principalmente focalizzata sul dolore neuropatico, tale Linea Guida si focalizza sulle seguenti conclusioni:

<A fronte di un incremento della disponibilità di cannabis per uso terapeutico e alle grandi aspettative dei pazienti, solo pochi studi rigorosi ne hanno valutato l’efficacia sul dolore cronico: in particolare, limitate evidenze suggeriscono che la cannabis può alleviare il dolore neuropatico, ma su altri tipi di dolore le prove di efficacia sono insufficienti. Relativamente ai rischi, dalla revisione emergono limitate evidenze sull’associazione tra il consumo di cannabis e l’aumento del rischio di eventi avversi non gravi a breve termine e di gravi effetti avversi sulla salute mentale, come le psicosi. Considerato che nei pazienti con dolore cronico non esistono dati definitivi sui benefici della cannabis e sono disponibili limitate informazioni sui rischi, è indispensabile la conduzione di studi metodologicamente rigorosi e di adeguate dimensioni per rispondere ai quesiti di ricerca non ancora risolti>.

Quindi, assolutamente non una bocciatura, bensì una richiesta di dati più precisi ed ampi per un appropriato utilizzo di tali “nuovi” farmaci, il cui utilizzo si è, ad oggi, limitato alle seguenti indicazioni (terapeutiche o sperimentali):

  • Analgesia in patologie che implicano spasticità associata a dolore (sclerosi multipla, lesioni del midollo spinale) resistente alle terapie convenzionali.
  • Analgesia nel dolore cronico (con particolare riferimento al dolore neurogeno) in cui il trattamento con antinfiammatori non steroidei o con farmaci cortisonici o oppioidi si sia rivelato inefficace.
  • Effetto anticinetosico ed antiemetico nella nausea e vomito, causati da chemioterapia, radioterapia, terapie per HIV, che non può essere ottenuto con trattamenti tradizionali.
  • Effetto stimolante dell’appetito nella cachessia, anoressia, perdita dell’appetito in pazienti oncologici o affetti da AIDS e nell’anoressia nervosa, che non può essere ottenuto con trattamenti standard.
  • Effetto ipotensivo nel glaucoma resistente alle terapie convenzionali.
  • Riduzione dei movimenti involontari del corpo e facciali nella sindrome di Gilles de la Tourette che non può essere ottenuta con trattamenti standard

Inserito il 23 Novembre 2017  –  Testo by giuliani gian carlo  –  Foto by pexels.com

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